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Dopo il successo della sua presentazione in casa Fondazione Piacenza e Vigevano torniamo a incontrare “la Prof” autrice del libro che racconta la Piacenza del boomi

Solo qualche giorno fa Loredana Mosti svelava al pubblico dell’Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano il suo “Storie Minime di Piacenza e Dintorni e oggi la ritroviamo per fargli qualche domanda su questa uscita che ci riporta, attraverso immagini, racconti e ricordi, in una Piacenza lontana, ma non lontanissima.

Intervista a Loredana Mosti e al suo Storie Minime di Piacenza e Dintorni
Loredana Mosti con il suo libro

Storie di Piacenza e di una Italia, che non ci sono più: intervista a Loredana Mosti

Il primo appuntamento pubblico per la nuova uscita targata Edizioni Officine Gutenberg, è appena passato ma noi siamo voluti tornare immediatamente su questo nuovo libro che ci riporta in un Mondo che non c’è più. Infatti lo Storie Minime di Piacenza e Provincia ci racconta con gli occhi di una giovanissima toscana trapiantata a Piacenza un mondo completamente nuovo, quello del benessere improvviso dopo gli anni di guerra. Un passato di cui ci rimangono tanti ricordi e immagini che Loredana Mosti ha racchiuso nel suo libro.

Come la ex Professoressa è arrivata a questo testo, da dove arriva e quali esperienze l’hanno aiutata a dargli vita, ce lo racconta direttamente lei.

Quanto c’è dell’esperienza conseguita nel corso dell’attività svolta insieme agli “Stagionati” nel suo nuovo libro?

I 20 anni passati con gli amici dell’associazione nelle classi di ogni ordine e grado mi hanno fatto capire che a tutti i ragazzi piace sentire raccontare,  e raccontare il vissuto, il quotidiano. La memoria “mitizza “ il quotidiano . È proprio questo il significato del termine” mito”, cioè racconto. Così il racconto diventa insegnamento.  Non è mai stato nel mio stile essere cattedratica, ma in questi anni ho capito ancora meglio che se vuoi trasmettere qualcosa devi essere sí corretto e chiaro, ma ancor più semplice, brillante e anche un po’ autoironico…

Perchè è così importante recuperare la memoria di un periodo come quello della ricostruzione post bellica, rispetto ad altri passaggi storici più presenti nell’immaginario (come il boom economico)?

La ricostruzione è una fase della nostra storia non così lontana da considerarsi passato storico né così vicina da considerarsi attualità. A scuola si arriva a trattare a fondo nazismo e fascismo e la seconda guerra mondiale. Poi ,se resta tempo, a grandi linee si affrontano gli argomenti del dopo guerra che perlopiù rimangono all’iniziativa degli approfondimenti personali degli studenti magari nelle loro tesine di maturità. La ricostruzione vede un’Italia che alza la testa , guarda avanti e raccoglie tutte le sue forze per correre verso il futuro, lasciando dietro le spalle un passato doloroso. È di per sé stesso un periodo eroico della nostra terra fatto di gente che si è rimboccata le maniche, che sulle macerie.

Letteralmente sulle macerie, ha ricostruito, che ho avuto il coraggio di fare le valigie (e che valige!) per andare a lavorare lontano da casa e allora non c’erano i cellulari o Skype per potersi vedere con quelli che erano rimasti, che ha trasformato le botteghe degli artigiani in attività industriali, che si è ripensata in termini di valori civili, che ha combattuto per dare ai propri figli il diritto allo studio, la possibilità di farsi una posizione. Il boom economico nasce dalla ricostruzione e la posizione che l’Italia poi ha ottenuto  a livello internazionale la dobbiamo all’intraprendenza dei “ricostruttori”. Questo i ragazzi lo devono assolutamente sapere .

Intervista a Loredana Mosti e al suo Storie Minime di Piacenza e Dintorni
Il pubblico presente alla presentazione

Le storie minime di una famiglia di “immigrati” toscani che alla fine degli anni ’50 arriva a Piacenza e la storia grande scritta sui libri di testo. Servono entrambe per appassionare i giovani a un passato sempre più distante? 

Penso proprio di sì perché come si dice “mutatis mutandis” le problematiche si ripropongono allo stesso modo con una forte attualità. L’uomo è sempre lo stesso, le sue reazioni di fronte a certi stimoli sono sempre prevedibili. Il racconto oggettivizza i fatti, le emozioni, e rende più comprensibile il dato in sé. Ad esempio sentire raccontare da una “immigrata” Toscana, che è piacentina da quasi ottant’anni, come veniva bullizzata perché aveva un modo di parlare diverso, o come suo padre veniva considerato uno che portava via il lavoro ai locali, ecco tutto questo mi sembra di estrema attualità. Non è cambiato molto, eppure i confini del mondo si sono molto allargati,  no.?

Domandone da un milione di dollari, che consiglio darebbe a un giovane che comincia a insegnare oggi?

Ricordarsi che “educare” per etimologia significa “ tirare fuori” , cioè far venire alla luce quello che un ragazzo ha dentro. Mai pensare di inculcare qualche cosa ; cioè insegnare non significa travasare un sapere da una testa a un’altra testa, ma guidare l’altro ad usare i suoi strumenti, perché possa farsi una propria cultura. Come un buon genitore fa con un bimbo quando gli insegna a mangiare. Se lo vuol far crescere bene e gli preme la sua indipendenza, non deve continuare ad imboccarlo , ma deve insegnargli ad usare le mani.

Così farà l’insegnante serio che non vuole esercitare la sua autorità sull’alunno, ma è consapevole che la sua missione è quella di far crescere donne e uomini indipendenti e maturi. Sono convinta che la scuola, e sottolineo la scuola, non l’università, deve privilegiare l’aspetto formativo delle competenze,  sviluppare la capacità critica e quella di sapersi districare nelle complessità (il problem solving per intenderci), soprattutto sviluppare la capacità di adattamento a situazioni che mutano velocemente. Questo aiuterà senz’altro il ragazzo nel mondo del lavoro attuale. Poi per la specializzazione tecnica e l’approfondimento nozionistico ci sarà tempo e luogo.

Storie-Minime-di-Piacenza-e-dintorni
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